Umberto Boccioni

I genitori di Umberto erano Raffaele Boccioni e Cecilia Forlani, originari di Morciano di Romagna (25 km da Rimini).Il padre, che lavorava come usciere di prefettura, fu costretto a spostarsi in Italia in base alle esigenze di servizio. Umberto nacque il 19 ottobre 1882 a Reggio Calabria; qui frequentò le prime classi delle elementari, successivamente la famiglia si trasferì a Forlì, poi a Genova e a Padova. Nel 1897 giunse l'ordine di un nuovo trasferimento a Catania. Questa volta la famiglia si separò: Umberto e il padre andarono in Sicilia; la madre con la sorella maggiore Amelia, nata a Roma, restarono in Veneto. A Catania Umberto frequentò l'istituto tecnico fino a ottenere il diploma. Collaborò con alcuni giornali locali e scrisse il suo primo romanzo: Pene dell'anima che reca la data 6 luglio 1900.

Nel 1901 Umberto si trasferisce a Roma, dove il padre è stato di nuovo trasferito. Frequenta spesso la casa della zia Colomba. In poco tempo s'innamora di una delle sue figlie, Sandrina. Umberto ha circa vent'anni e frequenta lo studio di un cartellonista, dove apprende i primi rudimenti della pittura. In questo periodo conosce Gino Severini, con il quale frequenta, a Porta Pinciana, lo studio del pittore divisionista Giacomo Balla. All'inizio del 1903 Umberto e Severini frequentano la Scuola libera del Nudo, dove incontrano Mario Sironi, anch'egli allievo di Balla, con il quale stringeranno una duratura amicizia. In quell'anno Umberto dipinge la sua prima opera Campagna Romana o Meriggio.

Umberto Boccioni e Mario Sironi a Parigi nel 1914.

Con l'aiuto di entrambi i genitori riesce a viaggiare all'estero: la prima destinazione è Parigi (aprile-agosto 1906), cui segue la Russia da cui ritorna nel novembre dello stesso anno. A Parigi conosce Augusta Popoff: dalla loro relazione nascerà nell'aprile 1907 un figlio, Pëtr (Pietro). Nell'aprile 1907 Umberto si iscrive alla Scuola libera del Nudo del Regio Istituto di Belle Arti di Venezia. Inizia un altro viaggio verso la Russia ma l'interrompe a Monaco di Baviera, dove visita il museo. Al ritorno disegna, dipinge attivamente, pur restando inappagato perché sente i limiti della cultura italiana che reputa ancora essenzialmente "cultura di provincia". Nel frattempo affronta le prime esperienze nel campo dell'incisione.

Nell'autunno del 1907 per la prima volta va a Milano, dove da alcuni mesi abitano la madre e la sorella. Intuisce subito che è la città più di altre in ascesa e che corrisponde alle sue aspirazioni dinamiche. Diventa amico di Romolo Romani, frequenta Previati, di cui risente qualche influsso nella sua pittura che sembra rivolgersi al simbolismo. Diviene socio della Permanente. Durante questi anni di formazione, visita molti musei e gallerie d'arte.Ha, quindi, la possibilità di conoscere direttamente opere di artisti di ogni epoca ma, specialmente, antichi.Alcuni di questi, come per esempio Michelangelo, rimarranno sempre suoi modelli ideali.Nonostante ciò, essi diventeranno anche i bersagli principali della polemica avviata nel periodo futurista contro l'arte antica e contro il passatismo. Nel 1907 a Milano incontra i divisionisti e con Filippo Tommaso Marinetti, scrive, insieme a Carlo Carrà, Luigi Russolo, Giacomo Balla e Gino Severini, il Manifesto dei pittori futuristi (1910), cui seguì il Manifesto tecnico del movimento futurista (1912): obiettivo dell'artista moderno doveva essere, secondo gli estensori, liberarsi dai modelli e dalle tradizioni figurative del passato, per volgersi risolutamente al mondo contemporaneo, dinamico, vivace, in continua evoluzione

Quali soggetti della rappresentazione si proponevano dunque la città, le macchine, la caotica realtà quotidiana. Nelle sue opere, Boccioni seppe esprimere magistralmente il movimento delle forme e la concretezza della materia. Benché influenzato dal cubismo, cui rimproverò l'eccessiva staticità, Boccioni evitò nei suoi dipinti le linee rette e adoperò colori complementari. In quadri come Dinamismo di un ciclista (1913), o Dinamismo di un giocatore di calcio (1911), la raffigurazione di uno stesso soggetto in stadi successivi nel tempo suggerisce efficacemente l'idea dello spostamento nello spazio. Simile intento governa del resto anche la scultura di Boccioni, per la quale spesso l'artista trascurò i materiali nobili come marmo e bronzo, preferendo il legno, il ferro e il vetro. Ciò che gli interessava era illustrare l'interazione di un oggetto in movimento con lo spazio circostante. Pochissime sue sculture sono sopravvissute.

In seno alla Società Umanitaria dove ha appena terminato il grande dipinto "Il Lavoro" (oggi al MoMA di New York con il titolo The City Rises), nell'aprile-maggio 1911, con Ugo Nebbia, Carlo Dalmazzo Carrà, Alessandrina Ravizza e altri, dà vita a Milano al Primo Padiglione d'Arte Libera, imponente esposizione dalle modernissime linee guida, dove si terrà anche la prima collettiva in assoluto di pittori futuristi (nei dismessi padiglioni Giulio Ricordi).

Nel 1912 Boccioni inaugura un periodo di intensi studi sia in vista della pubblicazione del suo testo teorico più importante, Pittura e scultura futuriste (1914), sia in vista della realizzazione del capolavoro Materia (1912). Consulta molti volumi di argomento storico-artistico e filosofico di cui stila una lista di titoli.In particolare, approfondisce la conoscenza del pensiero del filosofo francese Henri Bergson, leggendo il libro Materia e memoria (1896). Le teorie di Bergson sulla memoria spontanea, intesa come intuizione dell'unità fondamentale della materia, suggeriscono a Boccioni l'idea della compenetrazione dei piani come «simultaneità dell'interno con l'esterno + ricordo + sensazione» consentendogli di unire nel corso del processo creativo ricordi personali (familiari, per esempio) a suggestioni derivanti dall'arte antica o primitiva, alla scomposizione delle forme di derivazione cubista.Nell'olio su tela Materia, per esempio, Boccioni esegue un ritratto di sua madre Cecilia Forlani, divinizzata come Grande Madre, integrando la scomposizione cubista e l'uso dei colori complementari di derivazione impressionista con la ieratica frontalità della statuaria greca di epoca arcaica. Tra i libri consultati nel 1912, infatti, Boccioni cita, nella sua lista, il tomo VIII, dedicato alla scultura arcaica, e in particolare la pagina 689, dell'opera in più volumi di Georges Perrot e Charles Chipiez, Histoire de l'art dans l'antiquité (1882-1914) in cui i due autori trattano della cosiddetta legge della frontalità nella statuaria antica.

Tra le opere pittoriche più rilevanti di Boccioni si ricordano Il Lavoro (La città che sale) (1910), Rissa in galleria (1910), Stati d'animo n. 1. Gli addii (1911) – in cui i moti dell'animo sono espressi attraverso lampi di luce, spirali e linee ondulate disposte diagonalmente – Forze di una strada (1911), dove la città, quasi organismo vivo, ha peso preponderante rispetto alle presenze umane.

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